lunedì 3 giugno 2013

A#2: da Bologna a Siena passando per la Viandanza

Sembra nuovo questo paesaggio tra gli Appennini.
Negli ultimi 7-8 anni sono passato diverse volte tra Bologna e Firenze eppure, nella famigliarità, c'è qualcosa di strano.
Ci metto un po' a realizzare che il motivo è il mezzo. Sto viaggiando in autobus, sulla A1, e non in treno. Che poi in treno... se prendi una Freccia c'è ben poco da stranirsi: Bologna - ingresso in galleria - uscita dalla galleria - Firenze; di Appenino se ne vede ben poco.
Regionali e Intercity lasciano qualche spazio di visione, ma l'azione dello sguardo è frustrata di continuo dai tratteggi operati dai tunnel. Velocità e/è zapping.



Se fossimo sordi, ciechi, anosmici e privi di terminazioni nervose tattili che cosa resterebbe del nostro essere nel mondo?

Tra Bologna e Firenze si vive qualcosa di analogo. Si vive in una capsula dove i sensi sono addomesticati: niente odori forti; niente suoni esterni, tranne il rumore del motore che piano piano scivola sullo sfondo; il tatto anestetizzato dalla morbidezza del sedile.
L'unico senso superstite dei moderni mezzi di trasporto è la vista. Dove anche questa viene negata o continuamente interrotta dalle pareti dei tunnel, tanto vale adattarsi e leggere, mettersi le cuffie, dormire...

L'autobus Siena-Bologna ha il vantaggio/svantaggio di diventare buio dentro le gallerie.
Questa strana forma di interazione con l'esterno ha attirato la mia attenzione. Al buio non si può leggere... vediamo quanto è lunga questa galleria...

Insomma il mondo esterno, tra una galleria e l'altra, mi ha colpito. E mi ha subito catapultato indietro ai giorni scorsi.
Al camminare, prima di tutto. Del resto è quello che ho fatto negli ultimi sette giorni in modo intenso e intensivo...
Oggi camminare non è più un modo di spostarsi, ma una scelta, anche e forse fondamentalmente, politica. Come e più dell'andare in bicicletta:


I compagni Satta e Staino, non sarebbero del tutto d'accordo, ma è difficile negare che la bicicletta ama l'asfalto; mentre i piedi alla lunga si disfano sul suolo duro e uniforme.

Non essendo più un modo di spostarsi, il camminare non è nemmeno più la scelta della via più breve. Ma è il - talvolta - faticoso tentativo di trovare spazi fruibili sopravvissuti agli scempi della modernità. Sentieri luminosi che magari offrono su questi scempi prospettive da cui osservarli e raccontarli.

E l'andare a piedi, con tutta la sua lentezza, resta il modo principe per costruire relazioni con gli altri e col territorio, per apprezzarne diversità e complessità.



(errata corrige: Carnovalini)
Ci sarebbe molto altro da dire, ma l'attraversamento #2 è finito con il suo stancante epilogo senese e per adesso l'urgenza è quella dei ringraziamenti di cuore:

Compagno G. per l'aver condiviso con me la Via degli Dei; senza lamentarsi nonostante lo abbia costretto a tappe tirate e faticose deviazioni impreviste.
Il Compagno Panettiere di Traversa per lo sconto solidale sulla schiacciata. Compagna B.B. per avermi permesso di squattarla in sua assenza e Compagna Goodsaid per la cena condivisa.
Compagna C. per la splendida ospitalità e la gigantesca coppa di insalata e cipollotti che mi sono sbafato.
La compagna Barista di Abbadia a Isola per la custodia del mio zaino e tutte le persone che ho conosciuto al festival della Viandanza, a partire da compagno ContoTerzi e dal Compagno Latini della F.I.E.

Resoconterò con un diarietto-guida pure questo attraversamento in una nuova sezione. Adesso è giunto il tempo di fermare i piedi e fare andare braccia, mani e cervello.

A presto,
M

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